Prefazione – 2023
Prefazione Un magazine “contemporaneo” si nutre di dinamismo e vitalità, percepisce al volo gli input delle lettrici e dei lettori, si trasforma dando sempre il meglio. Insomma,...
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Il porto di Livorno non si era neppure accorto del fruscìo di quell’ingombrante mantello. Benedetta dalle stelle più desideranti, la sagoma curva di Settimontano Squilla si imbarcava. Proprio sul crinale tra ultima notte e prima alba, il mercantile faceva già rotta per Marsiglia.
Ma una brezza a puntaspilli teneva ancor più sveglio quel viandante, che negli anni precedenti aveva concesso troppo al sonno forzato. Filosofare all’alba libero, sotto un cielo incontenibilmente libero, era la più bella lezione che avesse mai fatto, poco importa che fosse silenziosa.
“Se ho retto la tortura per 48 ore, figuriamoci se non reggo l’influenza di queste stelle mattutine”, diceva fra sé e sé, assaporando le prime briciole di una libertà che si stava dilatando minuto dopo minuto. Libertà che voleva gettare anche oltre quello zodiaco che lo aveva sempre orientato, mai determinato.
Ed andava ripensando a quella cena di un lontano Maggio nella sua perduta terra, in cui le stelle furono ugualmente protagoniste. Verso il vespro Tommaso Campanella, vero nome dietro quello del Settimontano, in un luogo segreto della provincia spagnola della Calabria, aveva riunito in convivio quella nobile parte, la più indignata, colpita al cuore in ciò di geloso e libero, pronta dunque a realizzare una congiura contro Madrid. Una segreta trama diplomatica aveva ordito che la flotta turca, guidata dal mitico ammiraglio Cicala, si muovesse in modo tempestivo verso le coste davanti a Stilo e Reggio.
Fra’ Tommaso si ricordava una ad una quelle parole, fluenti come acqua sorgiva, che, alla fine di una cena ricca di vivande e prodiga di vini, quasi urlò ai commensali: “Prima si svelle e monda, poi s’edifica e pianta. Dopo l’apparizione della stella nova sarà grande Monarchia, di legge, riforma di arti, profeti e rinnovazioni”.
Invece, le stelle evocate furono di sventura. Svelata la congiura, tutti i partecipanti si dettero alla fuga e molti, Campanella compreso, furono arrestati. E di carcere in carcere, approdò infine a Roma, dopo quasi tre decenni.
Poi le stelle girarono corso. Grazie all’arcivescovo di Nazareth, Urbano VIII lo portò a Roma, non perdonato ma liberato, dove fu suo consigliere per le questioni astrologiche. Se quella mattina si era imbarcato segretamente a Livorno per la Francia, lo si doveva al Cardinale Barbierini, all’ambasciatore transalpino De Noailles ed al capo di quella Chiesa che, a lungo, e forse anche nel presente lo aveva ritenuto eretico.
Ed ecco la Francia, insieme accogliente e diffidente, in cui ogni ospite illustre era omaggiato per la fama e tenuto allo stesso tempo un metro indietro. Giornate lunghe quelle parigine tra il monastero di Saint Honorè, le Accademie e, di rado, i saloni della corte di Luigi XIII, su invito del gran cancelliere. Assai gradito anche l’accesso speciale al Jardin Royal, che il sovrano aveva fatto costruire ed aperto agli studenti di medicina della capitale.
Fra’ Tommaso si recava volentieri in quel luogo magico per ascoltare i tre dimostratori, che illustravano ai futuri medici francesi la storia e le proprietà di piante ed erbe.
Molti anni prima, fu proprio un’erba, forse sognata, a prefigurarne il destino. Si dice che, da bambino, un massaro lo fece pastore. Spinto dal suo gregge sul monte Consolino, trovò un’erba rigogliosa e molto saporita. Così se ne cibò: era l’erba della sapienza. Come sentenzia la leggenda, chi si nutre di essa penetrerà dentro tutti i misteri del mondo.
Ma torniamo ad un caldo meriggio estivo in Parigi. Sotto la generosa ombra di uno smisurato tiglio del Jardin Royal, riaffioravano alla mente dell’inquieto filosofo molte reminiscenze legate alla sua antica passione, come le parole scritte dal carcere all’amico Scioppio. Dalle infuocate segrete del carcere napoletano di Castel Nuovo, gli consigliava la corretta dieta estiva, che prendeva avvio dal rifiuto di bere vino in eccesso ed acqua annevata, terribile per la salute nei giorni di calura:
“...bere perciò dell’acqua con aggiunta di un poco di aceto e con aglio pestato, erbe odorose e pane intinto nell’aceto. Eguale effetto hanno tute le erbe odorose: risvegliano l’appetito, favoriscono la digestione e rendono il cibo assimilabile. […] Se non potrai procurarti queste erbe, prendi del pane, cospargilo d’acqua, spruzzalo d’aceto, spargici sopra dei fiorellini secchi d’origano e mangialo. Vedrai che tutto il corpo si rinfresca all’istante, lo spirito si ravviva, ritornano le forze. […]Durante l’estate fa’ pasti frequenti, cioè tre o quattro volte al giorno, ma usa cibi acquosi e molli, come la zucca e la cipolla: questa però sempre cotta, a meno che tu non voglia prenderne un poco di cruda al posto dell’aglio; mangia verdure acquose, come buglossa, cicoria, borraggine, luppoli; non cavolo o senape, che vanno bene d’inverno. La carne sia di vitello, di pollame, di uccelletti; evita assolutamente i passeri e i piccioni; unisci sempre ai cibi dell’uva spina acerba o qualcos’altro di acido; anzi, l’uva acerba unita allo zucchero potrà sovente sostituire i limoni. Non mi va troppo a genio le conserve di rose; evita i condimenti grassi e caldi, serviti di quelli magri e delicati; le marmellate di amarene, pere ecc. sono salutari. […] .
In spirito si sentiva anche lui un dimostratore, come i tre invidiati Ciceroni del Jardin, sempre attento ad incrociare e tessere le trame del cosmo nel completo equilibrio. Ed aveva sperimentato la nocività dell’eccesso durante il soggiorno campano dai Del Tufo, Marchesi di Lavello, che mangiavano in modo principesco e bevevano con ghiaccio. Sostando lì, non era riuscito a guarire neppure dalla sciatica. Un decisivo giovamento venne invece dai bagni di Pozzuoli ed Agnano; la svolta decisiva, invece, dalla tavola più sobria e dalle “benedette ristrettezze del monastero”. E Fra’ Tommaso non dimenticava mai di concentrare i vocaboli di una salute integrale nella seguente litania: orazione, studio, esercizio fisico, lavoro, riposo e cibo.
Altro diletto, ahimè raro, era la visita al Cabinet de curiosites, attiguo al giardino del Palais. Entro questa camera delle meraviglie dall’intrigante gioco di luci, penombre e tinte da caverna platonica, professori universitari, collezionisti e cultori particolarmente curiosi raccoglievano: rarità provenienti dall’intero globo, elementi eccentrici, manufatti antichi, introvabili reperti naturali, incredibili ammennicoli futuribili e tanto altro ancora di addirittura indicibile.
Era il famoso medico Cureau ad averlo introdotto in questo luogo speciale dietro raccomandazione del Guardasigilli Pierre Seguier, che ben conosceva la versatilità smisurata dell’eclettico pensatore italiano.
Qui vide ed imparò a conoscere a metà, per la gelosa resistenza di Cureau, ogni tipo di reperto unico o spurio, miscela atipica, creatura naturale, intruglio sperimentale, bizzarro amuleto, rappresentazione artistica, invenzione scientifica o marchingegno meccanico.
Come la volta che, entro una teca di legno orientale, illuminata da una fioca feritoia obliqua, gli venne mostrata, a debita distanza, un’ampolla turchese entro cui comparivano minuscole gocce rossastre. Si sarebbe trattato di quell’elisir medicamentoso di origine araba, di cui anche lui aveva favoleggiato ne La città del Sole, da prendere ogni sette anni per non invecchiare troppo.
In altra occasione, fu addirittura rapito dall’avere a tiro, senza però toccarlo, “un occhiale per veder le stelle occulte” di provenienza fiorentina. Ed insieme alla vista, Cureau fece anche riferimento all’udito, tanto che ostentò con orgoglio, improvvisando una fulminea prova del misterioso oggetto, uno strumento per udire la musica dei pianeti. Ma, anche in questo caso, Fra’ Tommaso da Stilo lo aveva già preceduto, sempre ne La città del Sole, ipotizzando a breve l’invenzione di “un oricchiale per udir armonia dai moti dei pianeti”.
E anche quella volta ricordò a se stesso quanto prevedesse l’educazione dei bambini nella sua meravigliosa città di utopia: “…andranno dalle scienze più alte e fisiche alla conoscenza delle erbe”. E lo stesso Solare, centro ordinatore e governatore della città “deve contemplare le cose, non solo i libri”.
La discussione più appassionata che si ricordi tra il medico ed il filosofo riguardò un libro scritto da Cureau e dedicato a Richelieu: Nuove congetture sulla digestione.
Davanti ad un mirabolante prototipo, molto simile ad un distillatore di grappa, il medico di corte spiegò attraverso quali tappe avviene la digestione. In fondo, così sentenziò: “…il processo digestivo è l’anticamera della produzione di spiriti. La circolazione sanguigna con le vene porta il liquore da raffinare, le arterie invece lo distillano”. In tal modo, concludeva compiaciuto: “Nel cervello arriva la quintessenza degli spiriti”.
Campanella, rivestendosi dei panni dell’antico dottore in teologia, fece ricorso al più potente tra i suoi armamentari. Occorreva che la nascente chimica lasciasse il posto alla vera causa motrice della natura. Così un guizzo del logos lo riportò al Grossatesta, secondo cui, con buona pace delle moderne teorie di Cartesio, “Dio continua sempre ad effondere la sua luce”. Dio non è un semplice orologiaio che imprime la carica al cosmo e poi si ritira: “Non il sole luce – affermò il Frate italiano – ma Dio nel sole. Nè l’uomo parla, ma Iddio nell’uomo. Nè si muove il fuoco, ma Iddio nel fuoco”.
Neppure i colloqui relativi all’amore colmarono differenze e diffidenze. Anche se l’amour d’inclination prospettato da Cureau ebbe più ascolto da parte di Fra’ Tommaso. “Come il vento produce effetti e non si vede – affermava il medico – noi diamo il nome di spirito a tutte quelle cose che non cadono sotto il dominio dei sensi. Così la passione d’amore che si comunica ad altra anima è un debordament di spiriti dal proprio corpo”. Anche stavolta però chimica e scienza non bastarono per quietare il filosofo calabrese, secondo cui “la catena d’oro e di luce che tiene insieme tutto l’universo” non è solo terrena e viene direttamente dal cielo.
Ma anche il colto ed eccentrico italiano ebbe i suoi indiscussi giorni di gloria in terra francese.
Tutto ebbe inizio con la quasi miracolosa nascita dell’erede al trono Luigi-Diodato, che a corte attendevano da più di tre decenni. In un contesto drammatico per la Francia, nel pieno della sanguinosissima guerra dei Trent’anni, con Luigi XIII ormai in età avanzata e malato, con lo stesso Richelieu che aveva oltrepassato la cinquantina, si trattava di una vera svolta per gli orizzonti della dinastia borbonica.
Orizzonti che per premura familiare, soprattutto da parte della madre, Anna d’Austria, ma soprattutto per la necessaria iscrizione dei destini individuali di Diodato entro una storia nazionale ed europea, si ritenne opportuno ufficializzare con la redazione di un oroscopo. Fu così che nel 1638, non molto dopo la nascita del Delfino di Francia avvenuta il 5 Settembre, pare che il Cardinale Richelieu in persona chiedesse il delicato pronostico a un uomo “aussi bon philosophe que savant a prèdire l’avenir”, che aveva dimostrato un grande talento astrologico. A questo atteso responso sarebbe stato chiamato proprio Tommaso Campanella.
Il controverso filosofo italiano si presentò per ben due volte a corte ed ebbe la responsabilità di osservare il corpo nudo del bambino a distanza di pochi giorni.
Lo stesso Richelieu aveva espressamente richiesto un pronostico non artefatto e di favore. E com’era nel personaggio, Fra’ Tommaso parlò chiaro in un testo ufficiale andato perduto, ma i cui esiti si diffusero nel tempo tra storia e leggenda, così sentenziava: “Questo bambino sarà lussurioso e molto superbo. Regnerà a lungo. Ma in maniera severa e tuttavia fortunata, finirà miseramente e alla fine avverrà una grande confusione nella Chiesa e nello Stato”.
Nessuno è a conoscenza di come venisse accolto tale pronostico, che, di sicuro, non venne diffuso. Sappiamo invece che il filosofo-astrologo italiano, a distanza di pochi mesi, nel Dicembre 1638, compose una vera e propria opera dedicata alla nascita regale, l’Egloga al Delfino.
Luigi XIII, diffusasi in città la voce di una sua prossima pubblicazione, un po’ per paterna curiosità e molto per ragion di stato, volle conoscerne il contenuto in anteprima.
Poco prima di Natale, Fra’ Tommaso fu invitato dal Re nel padiglione invernale del Jardin Royal, lontano dai clamori e rumori di corte.
Entrato nel padiglione poco prima dell’ora di colazione. Un lungo passeggio di piante esotiche lo riportò al luccichio dei colori della sua Calabria e di altre isole che non ci sono. Il capo giardiniere lo accompagnò scandendo, passo dopo passo, nomi tanto affascinanti quanto sconosciuti: varietà a fiori rossi di Hamamelis, morbide piume di cortedaria, piccoli aceri del Giappone, il corniolo winter flame.
Il Re lo invitò subito a tavola e, senza indugio alcuno, gli chiese: “Padre, cosa dirà dunque di mio figlio Luigi?”.
Campanella, che non aveva portato con sé alcuna anticipazione scritta, iniziò a descrivere la sua profezia svelando subito il titolo Ecloga Christianissimis Regi et Reginae in portentosam Delphini, orbis christiani summae spei, nativitatem.
Il portentoso bambino era nato di Domenica come lui, il 5 Settembre, esattamente settanta anni dopo. Per spiegare al padre come Luigi-Diodato avrebbe potuto realizzare la palingenesi del mondo in questo “secolo nuovo”, il filosofo italiano disse di lui: “Il futuro Re sarà il fondatore di Heliaca, la città del sole”.
Per proiettare l’anziano Re entro il mondo perfetto della Città del Sole, creatura da sempre vagheggiata nei cieli di utopia, Campanella aveva chiesto a Luigi XIII di poter trasmettere ai cuochi ed agli addetti di corte alcune semplici ricette usate dai solari, insieme al modo di presentarle in tavola ed all’austera scenografia.
Quel giorno a Parigi, un mese prima della pubblicazione del libro e a poco meno di un anno dalla sua morte, avrebbe portato un lembo di utopia sulla terra.
“A tavola, maestà, noi solari abbiamo bandito ogni strepito, poiché il convivio vuole essere rispetto ed amore, soprattutto armonia tra generazioni”.
E subito un giovane vestito in semplici abiti di lino bianco iniziò a leggere Platone, con un “anziano maestro” che, nelle interruzioni, inseriva brevi commenti. Più in là, in mezzo ad boschetto di aceri screziati, donne di varie età suonavano docili strumenti a corda (visto che in Hiliaca erano proibiti suoni forti di trombe e tamburi). Intanto un anziano soprastante, con movimenti morbidi, impartiva direttive ai giovani servitori.
“La nostra cucina – Maestà- distingue cibi utili e disutili, sobrii ed eccessivi, secondo la medicina. E’ molto attenta a servire in alternativa, secondo giorni e stagioni, pesce, carne ed erbe. E così per circolo, per non gravare né estenuare la natura”.
E così proseguiva Fra’ Tommaso: “Come i medici, io, su vostra licenza, ho detto ai cuochi quale sorta di vivanda conviene in questo giorno speciale, pietanza e minestra, frutti e cacio”.
Mentre arrivava in tavola la minestra, continuando a decantare la sobrietà della vita e delle ricette dei Solari, il maestro aggiunse fiero: “E’ per questo che nella città del Sole si vive fino a cento anni”.
Si trattava di una frugale minestra alle mele, tanto stonata ed inattuale in quella cornice regale da apparire quasi miracolosa. Luigi XIII sembrò gradirla, forse per la sorpresa oppure per il calore buono che diffondeva, più probabilmente perché quel riferimento alla longevità incoraggiava la sua declinante età. Campanella fece presto a descriverla, prima che si freddasse: “Maestà. Solo mele, un rametto di finocchio selvatico, un gambo di sedano ed una cipolla piccola, infine condimento assortito”.
Tra una magnificente descrizione e l’altra della città perfetta, il filosofo italiano ebbe il tempo anche di introdurre la pietanza successiva: mortadelle di carne di vitello allo spiedo cotta adagio, ben coperta con “petrosello et maiorana”, con un po’ di cacio grattato ed un ultimo sbriciolio di spezie varie, tra cui il macis delle Indie.
Ed a seguire, una semplice composizione conclusiva che meglio asciuga gli umori invernali ovvero i fichi secchi, adagiati su fine crosta di pane speziato, spuma di formaggio, miele e noci.
Fu così che Maestro Tommaso, vista anche l’impazienza di Re Luigi, arrivò al cuore della profezia che stava per dare alle stampe.
“Diodato, tuo delfino, magnifico Re Luigi, riporterà sulla terra gli antichi Regni di Saturno. Sotto la sua autorità rinascerà un secolo di pace e prosperità. Sarà figura del Sole ed incarnerà il mio grande sogno da una vita”.
Settimontano Squilla lascerà la vita mortale il 21 Maggio 1639, pochi mesi dopo l’annuncio profetico del nuovo secolo che sarebbe stato aperto dal futuro Luigi XIV. Alcune settimane avanti aveva previsto l’eclisse del primo Giugno, sentendola a lui funesta. Si dice che, negli ultimi mesi di vita, tornasse più volte su una nuova missione da compiere: diventare missionario in Etiopia ed intanto cercare il mitico regno di Zan. Un altro Rex et sacerdos lo avrebbe atteso sul trono di Utopia: il prete Gianni.
FRANCO BANCHI
Biografia di Tommaso Campanella
Nato in Calabria (Stilo), nel 1568, Tommaso Campanella entrò nell’ordine dei domenicani quando era ancora molto giovane, ma, a causa delle sue idee in fatto di religione, si ritrovò ben presto nel mirino degli inquisitori, dai quali fu accusato di eresia e rinchiuso in carcere a Roma, nello stesso periodo di Giordano Bruno.
Nel 1599 tornò in Calabria, dove tentò di organizzare un’insurrezione contro il dominio spagnolo e di gettare le basi per una profonda riforma civile, politica e religiosa.
Arrestato e condannato, rimase rinchiuso per 27 anni, durante i quali trovò la forza per continuare a scrivere, specialmente di filosofia. Fu proprio durante la prigionia che compose un’opera dedicata a Galileo, del quale apprezzava il lavoro ed il pensiero.
Nel 1626 riacquistò una parziale libertà: uscì dal carcere ma rimase a Roma, sotto il controllo del Sant’Uffizio. Grazie alla benevolenza di papa Urbano VIII, anche questo vincolo venne in seguito eliminato ma, nel 1633, Campanella venne nuovamente accusato di eresia e di propaganda antispagnola, così, prima che la situazione precipitasse, decise di rifugiarsi a Parigi, sotto la protezione della corte e di Luigi XIII, e di dedicarsi alla pubblicazione dei suoi scritti, tra cui un pamphlet astrologico in occasione della nascita di Luigi XIV. Tra le opere composte, di gran lunga la più celebre è La città del sole .Morì nella capitale francese nel 1639.