Prefazione – 2023
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Nell’ottobre 1960 a New York veniva proiettato per la prima volta il film
“Spartacus”, diretto dal maestro Stanley Kubrick. Il protagonista era Kirk Douglas che impersonava il gladiatore ribelle ed era anche il produttore esecutivo del colossal. Le vicende, pur romanzate, di Spartaco fecero conoscere al grande pubblico la storia della guerra servile che vide le legioni di Crasso affrontare e vincere l’esercito degli schiavi che avevano sfidato la Repubblica Romana (73-71 a.C.).
Quaranta anni dopo, nel maggio 2000, usciva a Los Angeles “Il Gladiatore”, un film, diretto da Ridley Scott, che ebbe enorme successo. Narra la storia, tratta dal romanzo “Those about to die”, di Massimo Decimo Meridio, comandante della legione Flavia Felix, che, inviso all’imperatore Commodo, è ridotto in schiavitu’ ed è costretto a combattere nelle arene come gladiatore, riportando successo e fama. Nel finale del film i due antagonisti, Massimo ed il Princeps, si affrontano in combattimento come gladiatori a Roma, nel Colosseo, e si uccidono a vicenda.
Va chiarito subito che in realtà l’imperatore Commodo, figlio ed erede di Marco Aurelio, fu si’ un grande appassionato dei giochi del circo ed amo’ lui stesso combattere nell’arena come gladiatore (ce lo raccontano sia l’Historia Augusta che Cassio Dione ed Erodiano), ma mori’ in seguito a una congiura di senatori, di pretoriani e della concubina, Marcia. Egli fu strangolato o sgozzato (iugulatus) dal suo maestro di lotta, l’ex gladiatore Narcisso (192 AD).
Il colossal ebbe enorme fortuna, fu pluripremiato, incassò cifre da record e segnò l’inizio di una lunga serie di film, telefilm, serie televisive, fumetti, libri e quant’altro, sempre incentrati sul tema dei gladiatori.
Non è questa la sede per trattare l’origine, la storia, i diversi tipi di armamenti e di combattimenti di questi atleti combattenti del passato ; non parleremo delle numerose scuole gladiatorie fiorite ovunque nel mondo romano, ne’ dei tanti anfiteatri che sono tuttora visibili (su tutto il territorio dell’antico impero ne sono rimasti circa duecento) e nei quali avvenivano i giochi gladiatori detti “munera”.
Vorremmo piuttosto rivolgere l’attenzione alla questione dell’alimentazione dei gladiatori.
Numerosi affreschi (famoso uno recentemente ritrovato a Pompei nella V Regio (cfr M.OSANNA, Pompei. Il tempo ritrovato. Le nuove scoperte, Milano 2019) e molti mosaici ebbero come soggetto gli scontri fra gladiatori. Un bellissimo e grande mosaico policromo (m 5,68 X 3,15), risalente al IV secolo, ritrovato nella proprietà della famiglia Borghese a Terranova, sulla via Casilina, alla periferia di Roma, consiste in grandi pannelli musivi, che mostrano scene di caccia (venationes) e combattimenti nell’arena.
I mosaici costituivano il pavimento di una lussuosa domus patrizia. Attualmente questo capolavoro è conservato nel salone d’onore della Galleria Borghese a Roma e ne costituisce il pavimento. Le immagini antiche ci mostrano combattenti col fisico possente, con muscoli poderosi e addominali scolpiti. Queste caratteristiche atletiche ci porterebbero a supporre che la dieta dei gladiatori fosse ricca di proteine animali e di altri alimenti nutrienti che potessero giustificare la loro potenza fisica.
Ma siamo in errore; in effetti sappiamo da diverse fonti, prima di tutte la “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio (morto a Ercolano nel 79 AD, durante l’eruzione del Vesuvio) , che i gladiatori erano definiti “hordearii”, cioè mangiatori di orzo; infatti tale cereale era così essenziale alla loro dieta da essere sempre associato a questo gruppo sociale.
Altri autori parlano di “gladiatoria sagina”, ossia del cibo da ingrasso dei gladiatori, che occasionalmente veniva distribuito anche ai soldati. Tacito narra infatti che Vitellio, uno degli imperatori che si susseguirono dopo la morte di Nerone , nel 69 AD, ne distribuì alcune razioni anche al suo esercito, provocando nell’accampamento un’invasione di civili, che tentarono di mescolarsi ai soldati per mangiare, finalmente, a sazietà (Historiae II,88).
Uno studio della Medical University di Vienna (2014), in collaborazione con l’Istituto di Medicina Forense dell’ Università di Berna, è stato condotto ad Efeso (Turchia), che in età romana imperiale fu una grande metropoli con più di 200.000 abitanti e centro di importanti commerci. Ivi esistette una importante scuola gladiatoria.
Gli studiosi hanno esaminato e analizzato le ossa di ventidue gladiatori, sepolti nell’antico cimitero fra il II ed il III sec. I risultati della ricerca hanno indicato che essi mangiavano legumi e moltissimi carboidrati contenuti nei cereali e assumevano pochissime proteine animali, a quei tempi molto costose e consumate dai ceti più abbienti. Gli atleti moderni si nutrono con carne, pesce, uova, ecc.; gli antichi gladiatori si cibavano invece essenzialmente di zuppe di fagioli e di orzo.
Le analisi degli scienziati viennesi hanno mostrato che tutti gli individui mangiavano legumi e cereali come grano, orzo, farro, miglio. I Greci e i Romani hanno sempre ampiamente consumato l’orzo; esso cresceva a tutte le latitudini ed era facile da conservare. Solo in un momento successivo si era affermato il frumento, alimento più ricco ed adatto alla panificazione. Le grandi produttrici di grano erano l’Egitto e la provincia d’Africa. Il miglio poi era diffuso ed usato da tutte le popolazioni della costa del Mediterraneo.
Ai gladiatori inoltre venivano date anche focacce di orzo arricchite con olio, miele e fichi perché prima dei combattimenti avessero un’ulteriore fonte energetica. Non mancavano tuttavia nella dieta gladiatoria pane, cipolle, formaggio, latte, miele, olive, frutta secca e, talvolta, vino.
Il famoso medico e scrittore Galeno di Pergamo (II sec. AD), che per alcuni anni fu medico in una scuola gladiatoria a Pergamo, e si occupò anche dei traumi e delle ferite riportate nelle arene, racconta che al termine degli allenamenti e dopo i combattimenti veniva consumata una bevanda detta “potus gladiatorius”, fatta di cenere di ossa e aceto. Ne aveva parlato anche Plinio il Vecchio (Nat. Hist. XXXVI, 203-5), che la aveva descritta specificando che essa veniva servita quale rimedio per i dolori diffusi in tutte le ossa. Plinio scriveva:
“Bevi la bevanda fatta dal fuoco con la cenere e verrai sollevato. Puoi ben vedere come i gladiatori ne traggono giovamento bevendone dopo il combattimento “.
Sembra che questa pozione fosse a base di ceneri di piante officinali. I ricercatori ritengono che queste ceneri sciolte nell’acqua apportassero anche altri minerali come il calcio, il magnesio e lo zinco, essenziali alla dieta dei gladiatori. Le loro ossa, opportunamente studiate, sono infatti risultate molto solide.
Le conclusioni della ricerca sono pubblicate in: AAVV, “Stable Isotope and Trace Element Studies in Gladiators and Contemporary Romans from Ephesus (Turkey, 2nd and 3rd Ct. AD – Implications fir Difference in Diet”. Link: PLoS ONE (2014), Medical University of Vienna.
Ma c’è dell’altro: secondo Galeno, questa alimentazione, che implicava anche il consumo di moltissimi carboidrati semplici, nell’orzo e nei fagioli, faceva si’ che i gladiatori si impinguassero e mettessero su grasso cutaneo. Questo cuscino di adipe li proteggeva non tanto dalle ferite da taglio profonde, quanto dai colpi superficiali. Durante la lotta alcuni vasi sanguigni potevano essere colpiti superficialmente. Un gladiatore magro non avrebbe fatto spettacolo; le ferite superficiali erano infatti l’aspetto più sensazionale degli eventi. Se l’atleta veniva colpito solo nello strato di grasso, poteva continuare a combattere, ma l’abbondanza del sangue versato rappresentava un evento straordinariamente emozionante per il pubblico.
Possenti e massicci, i nostri gladiatori furono, stando a Galeno, anche un po’ “grassocci”.
In occasione della grandiosa inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, cioè del Colosseo, nell’ 80 AD, il poeta Marziale scrisse questo epigramma: “Non basta, o Cesare (i.e. Domiziano), che ti serva in armi il bellicoso Marte, al tuo servizio milita adesso Venere in persona!” (De spectaculis, 6). Il poeta allude alle donne che combattevano nell’arena, quelle che noi impropriamente chiamiamo “gladiatrici”. Infatti è meno noto, ma a battersi negli anfiteatri c’erano anche loro. La cosa ci può sorprendere, ma all’epoca le gladiatrici facevano spettacolo ed emozionavano il pubblico, anche a causa delle loro nudità (si battevano a seno nudo).
Nel Museo Nazionale Romano è conservato un mosaico che raffigura due donne che combattono contro una tigre. Sono a torso nudo, armate e non indossano l’elmo. Purtroppo di queste amazzoni romane conosciamo assai poco, ad eccezione di alcuni accenni nei testi letterari latini. Ignoriamo la loro origine, la loro storia, se fossero allenate nelle scuole gladiatorie e se, come gli uomini, fossero suddivise in diverse categorie. Ancor meno possiamo dire della loro alimentazione. Si sa solo con certezza, stando alla testimonianza di Cassio Dione (75, 26, 1-2), che fu l’imperatore Settimio Severo che proibì gli spettacoli con le gladiatrici con un editto del 200 AD.
A conclusione di questo intervento sui gladiatori e sulla loro alimentazione, in considerazione del fatto che “Dichecibo6?-Magazine” è nato nel 2019 a Firenze ad opera della dott.ssa Nicoletta Arbusti, sottoponiamo all’attenzione del lettori fiorentini, e non solo, un documento del III secolo AD, trovato a Milano, ma relativo ad un gladiatore fiorentino.
Si tratta della stele funeraria di un atleta di Florentia, ucciso nell’arena a soli ventidue anni. Il testo dell’iscrizione recita:
“Agli Dei Mani. A Urbico, inseguitore di prima posizione, fiorentino di origine, che combatte’ tredici volte, visse ventidue anni, la figlia Olimpia di cinque mesi, la figlia Fortunense e la moglie Lauricia (dedicano) al beneamato marito, col quale visse sette anni. Ti avverto, o tu che uccidi chi ha vinto: i suoi tifosi terranno viva la sua memoria” (CIL V, 5933).
Non si hanno altre notizie su questo fiorentino, “secutor”, cioè gladiatore armato di elmo, scudo e spada corta, che certamente dovette essere un campione se supero’ con successo tredici incontri. Forse fu mandato a Milano in un’arena grande e importante per incontrare avversari più forti; infatti il circo di Mediolanum era il terzo per grandezza in Italia (m 155×125) dopo il Colosseo e l’anfiteatro di Capua. È solo un’ipotesi quella che Urbicus avesse già combattuto nell’anfiteatro di Florentia, del quale oggi possiamo vedere nelle foto aeree solo l’immagine della sua ellisse (diam.m.126). I suoi resti si trovano sotto Piazza dei Peruzzi, Via de’ Bentaccordi e Via Torta. Nel medioevo infatti si costruirono case sulle rovine delle sue strutture perimetrali e sopra la sua area.
Il nostro secutor potrebbe essere stato allenato nella scuola gladiatoria, annessa all’anfiteatro, che si trovava vicino all’Arno, poco distante dal teatro romano, che è oggi sepolto sotto Palazzo Vecchio e Palazzo Gondi, con la cavea rivolta verso Piazza della Signoria e la scena lungo Piazza San Firenze.
Ma non tutti i gladiatori morivano così giovani. Abbiamo notizia dalle fonti antiche che molti raggiunsero età ragguardevoli e smisero di combattere, rimanendo spesso come allenatori nelle scuole. Alcuni di essi furono famosi e ammirati, proprio come i campioni sportivi di oggi! Era considerato un vanto per le famiglie di alto livello sociale avere a cena un gladiatore famoso. Essi riscuotevano anche grande successo con le matrone romane.
Giovenale in una celebre satira (VI, 103-113) racconta la vicenda della matrona Eppia, moglie di un senatore, soprannominata “la Gladiatrice”, che si innamorò a tal punto del gladiatore Sergiolus ( oggi diremmo Sergino), uomo tutt’altro che bello, da abbandonare la famiglia e gli agi per fuggire con lui in Egitto. Il gladiatore aveva più di quaranta anni, un braccio ferito e “molte deformità, come il naso escoriato dall’elmo, una gran gobba nel mezzo ed un acre umore che gli stillava dall’occhio. Ma era un gladiatore!”. E Giovenale conclude, con un evidente doppio senso : ” Ferrum est quod amant!” , cioè: ” è il ferro che queste donne amano!”.