Prefazione – 2023
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Sin dall’antichità più remota l’olio e il vino sono stati elementi importantissimi nell’alimentazione delle popolazioni greche e italiche. Non è quindi un caso che una delle due testimonianze più antiche dell’uso dell’alfabeto greco arcaico, cioè di un sistema di scrittura fonetico, riguardi proprio il consumo del vino nei banchetti. Alludiamo all’iscrizione tracciata su un vaso noto come ” la coppa di Nestore”, proveniente dalla necropoli di Lacco Ameno d’Ischia (l’antica colonia euboica di “Pithekussa”). L’assoluta eccezionalità del reperto non è soltanto sottolineata dai numerosissimi studi scientifici, ma anche dalla sua presenza in mostre e esposizioni internazionali e nazionali.
Dal prossimo novembre 2019 fino al marzo 2020 si terrà al British Museum di Londra una mostra favolosa, “Troy”, dedicata alle evidenze archeologiche e letterarie relative all’antica Troia.
La città era nota sin dall’ antichità grazie soprattutto all’Iliade e all’Odissea, e divenne una realtà dell’archeologia grazie agli scavi ottocenteschi di Schliemann, che ne riportarono alla luce i resti e ne stabilirono la storicità.
Nell’ambito della mostra verrà esposto anche il famoso reperto greco da Pithekussa, la coppa da vino della quale si parlava. Essa fu ritrovata nel 1955 nella tomba a incinerazione di un giovane, e datata alla seconda metà del VIII sec. a. C.
Si tratta di un “poterion”, una tazza da vino (di circa 10,3 cm di altezza e di cm 15,1 alla bocca) di fabbricazione rodia, decorata con motivi geometrici e recante un’iscrizione su tre linee posta poco sopra alla base del vaso, tracciata con l’andamento sinistrorso caratteristico dell’alfabeto greco arcaico.
In questo caso i caratteri appartengono all’alfabeto greco “occidentale”, ” rosso”, quello che rappresenterà il modello degli alfabeti etrusco e romano.
Il testo è composto da tre versi; il primo è forse un metro giambico, gli altri sono degli esametri dattilici, i versi cioè dell’epica omerica, evidentemente già ben conosciuta a quel tempo, non solo nella madrepatria ma anche nelle colonie.
Gli studiosi dibattono circa il testo e la traduzione del primo verso; personalmente, seguendo l’interpretazione della famosa epigrafista fiorentina Margherita Guarducci, propongo: “La coppa di Nestore (era) sì piacevole per bere”, poi, ” ma chi beve da questa coppa subito lo coglierà desiderio di Afrodite dalla bella corona”.
Qui il poeta ischitano fa riferimento alla grande coppa di cui Omero parla nell’ XI libro dell’Iliade (vv. 631- 637) nell’ episodio che ricorda il re acheo di Pilo, il grande Nestore.
Siamo di fronte a un’iscrizione bene augurante, il cui contenuto mostra con chiarezza che l’oggetto era non solo destinato all’uso nel simposio, ma che esisteva una connessione stretta fra vino ed elemento erotico.
Poiché la tazza fu rinvenuta in frammenti nella sepoltura di un giovanetto (la cui età si stima fra i 12 e i 14 anni), è stato ipotizzato altresì che Nestore possa essere stato il nome del giovane o di suo padre.
La coppa fu dunque l’estremo dono per ricordargli le gioie del vino e dell‘amore, che la morte prematura gli aveva precluso.