Prefazione – 2023
Prefazione Un magazine “contemporaneo” si nutre di dinamismo e vitalità, percepisce al volo gli input delle lettrici e dei lettori, si trasforma dando sempre il meglio. Insomma,...
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“Autunno. Già lo sentimmo venire/nel vento di agosto,/ nelle piogge di settembre/torrenziali e piangenti..”. : così Vincenzo Cardarelli cantava questa straordinaria stagione che offre al nostro sguardo paesaggi dai colori caldi e vellutati e delizia il nostro palato con prodotti eccellenti.
Ecco l’uva ed il vino novello (come non ricordare l’ottimo Beaujolais Nouveau?), l’olio nuovo dal sapore asprigno che piace tanto a noi toscani, le mele cotogne, i cachi, i tartufi bianchi, e tanti altri prodotti appetibili. Ma non si devono dimenticare i funghi che gli Italiani apprezzano molto a tavola, a volte a loro rischio e pericolo.
Li conoscevano già gli Egiziani ed anche i Greci, che li chiamavano “miceti”, mentre la parola latina “fungus” si avvicina al greco “spongos” o “sphongos”, che indica invece la spugna. Dei funghi parlo’ il filosofo greco Teofrasto (IV-III sec.) che nell’opera “Historia Plantarum” li considero’ piante imperfette perché prive di radici, di foglie e di fiori e per primo li suddivise in 4 categorie.
I Greci ed in particolare gli Ateniesi li gustavano a tavola; è noto che il padre del poeta tragico Euripide, Mnesarco, morì assieme alla moglie nel 450 a. C. dopo aver mangiato per errore delle amanite. Anche i Romani li conoscevano e ne erano ghiotti. Ne trattarono uomini di scienza come Plinio il Vecchio nella “Naturalis Historia” ed i medici greci Dioscoride (I sec.) e Galeno (II sec.).
I buongustai Romani li apprezzavano e così ritroviamo i funghi in numerose ricette del “De re coquinaria” di Apicio, nelle Satire di Orazio (II, iv 30-31), nella Cena di Trimalchione, in alcuni epigrammi di Marziale (ad es. I, 20), ecc.
Dell’uso dei funghi sulle tavole romane e della loro tossicità offre un tragico esempio la vicenda della imperatore Claudio (41-54 d. C.), successore di Caligola e penultimo sovrano della dinastia Giulio-Claudia. Egli fu un uomo colto, scrisse un trattato sugli Etruschi, purtroppo perduto; tutt’altro che sciocco, si dimostrò un ottimo e saggio sovrano.
Fu tuttavia deriso dai contemporanei per i numerosi tradimenti delle sue 4 mogli: il poeta latino Giovenale nella VI Satira si scagliò contro L’ imperatrice Messalina, la terza moglie del princeps, per la sua ninfomania che la spingeva a prostituirsi in incognito nei lupanari, persino con gladiatori e marinai. Claudio fu irriso anche per il suo aspetto fisico: era infatti zoppo e balbuziente.
Fu vittima delle donne, tanto che la sua ultima moglie, la nobilissima Agrippina, discendente di Augusto, figlia di Germanico e sorella di Caligola, lo avvelenò con un piatto di funghi (probabilmente usò l’amanita phalloides o l’amanita muscaria), cibo di cui Claudio era ghiotto.
Svetonio e Tacito narrarono la vicenda ed aggiunsero anche particolari, come quello che Agrippina si sarebbe avvalsa dell’aiuto di una avvelenatrice di professione, Lucusta, che le fornì anche del veleno da aggiungere ai funghi, per essere più certa del risultato mortale (Tacito, Annali, XII, 66/67).
L’ambiziosissima Agrippina volle eliminare Claudio per accelerare la successione al trono di suo figlio, Domizio Enobarbo, Nerone, che pure Il princeps aveva già affiliato, desiderosa di poter quanto prima gestire lei stessa la successione, visto che Nerone aveva solo 17 anni. Il povero Claudio morì fra grandi sofferenze il 13 ottobre del 54 d. C.
Fu dileggiato anche da morto: Seneca, che nutriva per lui un forte rancore anche per essere stato esiliato In passato, gli dedico’ un’opera famosa l’ “Apokolokintosis Divi Claudii” cioè la “Zucchificazione” del Divino Claudio” ( come a indicare la divinizzazione di una zucca), nella quale, tra l’altro, l’imperatore era ferocemente dileggiato ; Il filosofo lo derise anche in punto di morte: ‘Cum maiorem sonitum emisisset illa parte qua facilius loquebatur: ” Vae me, puto, concacavi me” ‘( non traduco per decenza!).
Quel tristo omicidio privò l’impero di un princeps colto e saggio e permise l’avvento di Nerone, un tiranno crudele, amato dal popolo ma esecrato dalla storiografia filo-senatoria e da quella cristiana.
Nel 1976 il prof. Pier Francesco Mannaioni, fiorentino, medico e scrittore, nonché titolare della cattedra di Tossicologia dell’Università, pubblicò con i suoi collaboratori su “Archives of Toxicology” un articolo esemplare nel quale indicava la Penicillina G come rimedio agli avvelenamenti da amanita phalloides.
Se conosciuta prima, questa terapia avrebbe potuto evitare le morti di personaggi famosi, come ad es. quella del Papa Clemente VII, il fiorentino Giulio De’ Medici, ma soprattutto quelle di numerosissimi improvvisati cercatori di funghi.
ANNA CAFISSI