Leonardo da Vinci nei “Regimen Sanitatis” del Codice Atlantico (F 213v) indica i precetti igienici e i consigli per vivere sano, cui seguono le regole della semplicità e del piacere, che si basano sul principio secondo il quale la buona salute si ottiene, e si mantiene, prima di tutto con una sana alimentazione.
La natura, divisa nei quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco, ha un ordine gerarchico ascendente/discendente, per il quale ogni animale o pianta è più nobile di quello collocato sotto di esso, e meno nobile di quello al di sopra.
In questo senso, al di sotto di tutto ci sono i bulbi sotterranei (cipolla, aglio, scalogno, ecc.), seguiti dalle radici (carote, rape), poi dalle piante erbacee (spinaci e cavolo), infine dalla frutta, tra cui la più nobile è quella degli alberi.
Mangiare secondo la qualità delle persone significa scegliere i cibi adatti allo stato sociale dell’individuo, alla sua posizione gerarchica, alla ricchezza e al potere che detiene. Si tratta di una qualità immutabile, quasi immanente della persona.
La distinzione sociale, fondata nel Medioevo principalmente sulla quantità a disposizione, si trasforma in epoca rinascimentale, soprattutto, in differenza stabilita dalla qualità, più o meno nobile, degli alimenti.
La dieta dei potenti è costituita in particolare dalla carne, simbolo del privilegio sociale, mentre quella dei ceti inferiori, specie dei contadini, è sostanzialmente vegetariana.
La testimonianza più interessante del passaggio dalla cucina dell’Alto Medioevo a quella rinascimentale è rappresentata dal “Libro de arte coquinaria” (1456), del Maestro Martino de Rossi da Como, (1440/fine XV sec.), che fu il più importante cuoco europeo del 1400.
Questo testo è considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana. (1)
Maestro Martino scrive in volgare uno dei testi più copiati del Rinascimento. Traduce la sua vasta cultura e la sua esperienza interregionale in ricette nuove, rinnovate tecniche di cottura, moderni principi igienici e dietetici, e consigli per vivere in modo sano, concorrendo in modo decisivo alla definizione della gastronomia italiana.
Accogliendo nella sua cucina gli ortaggi più saporiti e elaborando minestre a base di zucche, lattuga, bieta, finocchi, farro e ceci, supera così in parte la divisione tra cibi per i ricchi e cibi per i ceti popolari.
Maestro Martino codifica le paste secche, come i maccheroni e i vermicelli – in genere riservati solo ai malati, cotti in latte di mandorle e conditi con zucchero – che presenta spezzati, preparati nel brodo e insaporiti con cacio e spezie.
Insieme all’uso delle spezie, l’utilizzo dell’acqua di rose e di mandorle fa di lui un erede della cucina medievale.
Serve le torte dopo gli arrosti, usa le uova in tantissime ricette, anche come addensanti, e dedica al pesce, presente in genere sulle tavole dei ricchi e nei pasticci delle grandi feste, numerose e inedite ricette.
Mantiene per esempio l’uso dei colori naturali, come lo zafferano per il giallo, e l’uva per il rosso; conserva i sapori acri dell’età medievale, ma li attenua con il mosto e lo zucchero.
Introduce nelle sue ricette, infine, una novità che anticipa l’attuale cucina mediterranea: sostituisce a volte le spezie con erbe di campo e odori, tra cui alloro, finocchio, rosmarino, prezzemolo, menta e maggiorana.
Gli insegnamenti e le ricette di Maestro Martino si diffondono con la stampa del “De honesta voluptate et valetudine” (1474) di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, Prefetto della Biblioteca Vaticana sotto Sisto IV, che dal “Liber de Coquinaria” prende le mosse.
Se Mastro Martino scrive un manuale vero e proprio, con le ricette, la definizione dei doveri del cuoco e la descrizione degli ambienti della cucina, Platina esalta, invece, soprattutto la concezione filosofico-sanitaria del piacere onesto del cibo, il cui scopo fondamentale è il mantenimento della buona salute.
Platina dichiara inoltre di aver scritto per “giovare ad un uomo morigerato che aspiri alla buona salute e ad un’alimentazione decorosa”.
Egli afferma che per trarre dal cibo giovamento e buona salute, “bisogna nutrirsi a seconda del proprio umore e scegliere ciò che più piace e addice a se stessi”.
Egli riprende così l’opinione medievale dei quattro umori del corpo umano: sangue, bile rossa, bile nera e catarro.
Secondo la fisiopatologia medievale, infatti, il corpo dell’uomo contiene sangue, flegma, bile gialla e bile nera.
Quando questi umori sono nella giusta proporzione tra di loro, sia dal punto di vista della qualità che della quantità, e quando la loro mescolanza è perfetta, si è in salute.
Viceversa, la mancanza di proporzione fra gli umori causa malattia. I caratteri stessi degli uomini sono il risultato di queste combinazioni che, proporzionate – pure se in modo diverso per ogni periodo dell’anno -, sono garanzia di ottima salute.
Allo stesso modo gli alimenti, che condizionano le associazioni degli umori, devono variare in base alle stagioni: da maggio a luglio, è consigliabile consumare cibi freschi e carni bianche; da agosto a ottobre, cibi piccanti e acidi; da novembre a gennaio, il pane, le carni lesse e poche verdure; da febbraio ad aprile, verdure e carni arrosto.
A chi cucina è poi affidato il compito di correggere con la cottura gli umori naturali del cibo, sia per una loro migliore digeribilità che per questioni di gusto.
Con Martino de Rossi e Platina si inizia timidamente a delineare una nuova filosofia gastronomica che promuove la valorizzazione del sapore di ogni cibo, in contrasto con la visione filosofico-gastronomica medievale che reputa indispensabile bilanciare e mescolare più sapori possibili in una sola vivanda. (2) (3)
Eccoci così ai primordi della storia della gastronomia italiana.
NICOLETTA ARBUSTI
(1) Maestro Martino – Libro de Arte Coquinaria,Curatori: Luigi Ballerini e Jeremy Parzen, Cum Grano Salis, 2001.
(2) Sabban, Françoise – Serventi, Silvano, A tavola nel Rinascimento con 90 ricette della cucina italiana, Laterza, Roma- Bari, 2005.
(3) Tocci, Augusto – Revelli, Alex – Cutini, Susanna, Tacuinum rinascimentale: itinerario di trionfi gastronomici, Ali&No, Perugia, 2005.