L’appetito vien guardando
Il cibo nell’immaginario cinematografico Fin dalle sue origini, il cinema ha raccontato il rapporto fra l’uomo e il cibo investendolo di connotazioni culturali che spaziano...
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Fin dalle sue origini, il cinema ha raccontato il rapporto fra l’uomo e il cibo investendolo di connotazioni culturali che spaziano dall’identità etnica a quella di genere, dalla classe sociale alla religione. A partire dall’italiano La cena delle beffe, sono numerosissimi i film che fin dal titolo richiamano l’idea del cibo o della convivialità: La cena dei cretini, pranzo di Ferragosto, Banchetto di nozze, Maccheroni, Lezioni di cioccolato, Delicatessen, Mystic pizza, Pomodori verdi fritti, Il pranzo di Babette, Il profumo del mosto selvatico, Il grande cocomero, Couscous, Tortilla soup, Barbecue, Kitchen stories, solo per citarne alcuni.
Al cibo sono legate alcune fra le immagini cinematografiche più pervasive, quelle che sono depositate nella nostra memoria in modo indelebile: Charlie Chaplin che, nella Febbre dell’oro, cerca disperatamente di mangiare la suola di uno scarpone; l’“americano” Alberto Sordi che si avventa sulla pastasciutta, dopo aver provato invano ad apprezzare hamburger e ketchup; e, su tutti, la fame atavica di Totò.
La sua è la fame di tutto il nostro Sud, che lo perseguita pellicola dopo pellicola, spingendo il suo personaggio in Fifa e arena, Nicolino Capece, ad improvvisare un sandwich con una spugna tagliata in due, spalmata di dentifricio e cosparsa di talco. E come dimenticare, in quello che rimane uno dei più bei film di Scola, C’eravamo tanto amati, la famosa mezza porzione ordinata dai protagonisti: una modesta trattoria, una consuetudine, un modo di ritrovarsi con gli amici di un tempo, emblema di un dopoguerra fatto di sacrifici e ristrettezze economiche. Oppure, nel cinema di Moretti, l’ossessione molto simbolica per il cioccolato, soprattutto l’amore per la Nutella (chi non lo ricorda, in Bianca, attingere in piedi ad un vaso enorme della famosa crema spalmabile) e per la torta Sacher, a cui ha perfino intitolato la sua casa di produzione.
E ancora il momento del pasto in molti film di Ferzan Ozpetek, immagine privilegiata di una rete amicale che ha sostituito la famiglia.
Al contrario, la condivisione del cibo può anche trasformarsi in escamotage visivo-narrativo che innesca un’esplosione di conflitti latenti, a volte con esiti paradossali, come nel Nome del figlio di Francesca Archibugi, o Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese.
Era forse inevitabile che i registi italiani, più di altri, dedicassero al cibo una così grande attenzione, dapprima come significato primario di sopravvivenza, quindi di benessere e specchio della società con le sue nevrosi contemporanee. Nei decenni che separano La ricotta (1963) di Pasolini, in cui il povero Stracci muore di fame sulla croce, e Hungry Hearts (2014) di Saverio Costanzo, dove la protagonista, malata di ortoressia, arriva a mettere a rischio la vita del bambino con un’alimentazione sempre più povera di nutrienti, si può leggere la profonda trasformazione del nostro modo di stare al mondo.
Negli Stati Uniti il rituale ritorno a casa per il pranzo di Natale o del Ringraziamento è ormai diventato un genere a sé stante, l’occasione perché le tensioni familiari, di solito tenute a bada grazie alla lontananza dei vari membri, abbiano modo di emergere con foga dirompente.
Proprio nell’ambito del cinema USA, è interessante notare come il legame tra cibo e identità familiare si esprima attraverso personaggi e ambienti con una connotazione etnica precisa, ispanica, cinese o italo-americana. Per quest’ultima basti citare Big Night e la trilogia del Padrino, con la celeberrima battuta “lascia la pistola e prendi i cannoli”.
Se è vero che il cibo, prima ancora di essere mangiato, è uno spettacolo per gli occhi (secondo alcuni studi la vista incide sul gusto per più del 50%), la passione sfrenata per la sua rappresentazione attraverso immagini ricche e succulente si è guadagnata l’appellativo di “food porn”, pornografia del cibo. Nonostante questo, non ha perso la sua funzione originaria, quella di esplorare la morte, l’estasi religiosa, il sesso e l’amore.
Insomma, fin dai suoi primi passi il cinema ha fatto proprio e restituito allo spettatore un immaginario legato al cibo nei suoi molteplici significati, metaforici, sociali e spirituali. Lo ha declinato in infinite variazioni, dal dramma alla farsa, dalla commedia nera a quella di costume.
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