Prefazione – 2023
Prefazione Un magazine “contemporaneo” si nutre di dinamismo e vitalità, percepisce al volo gli input delle lettrici e dei lettori, si trasforma dando sempre il meglio. Insomma,...
Prefazione Un magazine “contemporaneo” si nutre di dinamismo e vitalità, percepisce al volo gli input delle lettrici e dei lettori, si trasforma dando sempre il meglio. Insomma,...
Il cibo ha sempre avuto un posto ed un ruolo ben preciso nell’arte dal mondo antico ad oggi, protagonista nelle nature morte e elemento iconografico importante dai tanti risvolti...
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Il cibo ha sempre avuto un posto ed un ruolo ben preciso nell’arte dal mondo antico ad oggi, protagonista nelle nature morte e elemento iconografico importante dai tanti risvolti e significati riposti nelle raffigurazioni religiose di tutti i tempi.
Il primo a stravolgerne il senso è stato Arcimboldo che già nel Cinquecento si divertiva a dipingere curiosi Ritratti con frutta, verdura e simpatici elementi zoomorfi, dando vita ad un divertissement quanto mai esilarante per la corte asburgica.
Nell’arte moderna e contemporanea basterà ricordare Salvator Dalì il cui Busto di Donna presenta un copricapo a forma di baguette e delle pannocchie come capelli a incorniciare il volto, mentre Magritte sconvolge tutte le nostre pseudo-certezze affermando che non sempre una Mela disegnata è semplicemente una mela (Ceci c’est n’est pas une Pomme, 1964 coll.priv.) fino al vero Gastronomo della Pop Art, Claes Oldenburg con le sue Sculture Molli riproducenti alimenti di largo consumo come gelati, patatine fritte, hamburger e torte.
Per saperne di più abbiamo intervistato Roberto Casamonti, fondatore di Tornabuoni Arte e collezionista di fama internazionale.
A Palazzo Bartolini Salimbeni, uno dei più rappresentativi esempi di architettura rinascimentale della città, che affaccia su Piazza Santa Trinita, nel cuore del salotto buono di Firenze, il 25 marzo 2018 Lei ha aperto una nuova Collezione d’arte messa su con il fiuto, la determinazione, la sensibilità e la passione di un vero filantropo e mecenate. Che cosa ha rappresentato per la sua vita e per il suo percorso professionale questo approdo?
“La collezione rappresenta la sintesi di un percorso che si è costruito negli anni ed è la testimonianza della dedizione per l’arte che ha da sempre caratterizzato la mia vita. Nel tempo ho amato e selezionato delle opere che formano oggi il nucleo della mia collezione. Il corpo completo dei dipinti e delle sculture copre un arco cronologico che dai primi anni del Novecento arriva sino ai nostri giorni, con attenzione sia all’arte italiana che internazionale. Questo articolato panorama visivo nasce da una attenta ricerca che ho condotto lungo tutta la mia vita e rappresenta inoltre la mia propensione all’arte che ha contraddistinto da sempre ogni mia scelta. Ho pensato di voler condividere con la città di Firenze, alla quale sono da sempre affettivamente legato, la mia collezione, per poter fare in modo che i valori di cui l’arte è portatrice, possano essere condizioni non esclusive ma pubblicamente condivise. Desideravo che le mie opere potessero essere contenute all’interno di un palazzo che rappresentasse l’immaginario collettivo di Firenze – prosegue Casamonti – un edificio la cui storia, legata alla sua importanza architettonica, costituisse uno dei punti di riferimento della città. La scelta del piano nobile di Palazzo Bartolini Salimbeni è stata a questo proposito propizia; l’edificio, considerato uno tra i più belli e noti della nostra città, venne costruito nel 1520 da Baccio d’Agnolo e si colloca in un punto focale del centro storico di Firenze, offrendo da piazza Santa Trinita il passo a via Tornabuoni. Luogo quest’ultimo che sento affettivamente vicino, in quanto proprio in questa strada, nel 1981, inaugurai la mia prima galleria che da essa prese nome. Questa circolarità che nel ritorno definisce la mia storia, segna il mio percorso umano e professionale dalle origini ad oggi; la nascita della Collezione ne rappresenta l’epilogo”.
Come è cambiato secondo lei il rapporto fra l’artista e il cibo, la sua percezione nei secoli, fra, ad esempio, una ‘Canestra di frutta’ di Caravaggio e un’opera di Daniel Spoerri?
“Nell’arte antica il principio che designava l’iconografia delle opere era quello della “mimesis” per cui la riproduzione del vero era una delle principali finalità dell’arte. Il vero inoltre era leggibile secondo più livelli, portando con sé quell’insieme di simbologie che tracciavano il percorso di letture più colte. Rappresentare il vero era un modo per far si che l’arte comunicasse a tutti, la riproduzione del reale era volta a suscitare emozioni partendo dalla progressiva sensibilizzazione della realtà in veste pittorica. L’arte contemporanea sancisce un cambiamento sostanziale, l’arte non è più rappresentata ma ‘presentata’. Basta ricordare quando Jannis Kounellis (autore di cui è visibile un’opera in Collezione) realizza una mostra nel 1969 alla Galleria romana di Fabio Sergentini con 12 cavali vivi. Letteralmente l’arte esce dai confini del quadro e diventa vita reale, sovverte il concetto di natura morta con quello di natura come condizione perennemente vitale, in grado di coinvolgere lo spettatore con la sua presenza fisica e sensoriale. Similmente Daniel Spoerri con i suoi Tableaux Piége rende indelebile un momento quotidiano (in Collezione è visibile un’opera appartenente a questo ciclo). I tavoli presentano ancora le tracce del pasto, di un vissuto legato ad una condizione di reciprocità tra i commensali che ora diventa un momento eterno, sottraendosi alla consuetudine del tempo. In questo cogliamo una evoluzione del concetto di natura morta: non è più la suggestione estetica che persiste nel tempo ma è il tempo vissuto che si manifesta alludendo alla presenza umana”.
Delle sue opere raccolte in oltre cinquant’anni di attività, ce n’è una o più di una legata al tema del cibo che desidererebbe avere?
“In Collezione è presente un Achrome di Piero Manzoni, sarebbe interessante avere un Achrome con le “rosette”, in questo caso il pane perde la sua consistenza di cibo e diventa arte. L’opera non evidenzia più la capacità di imitare il reale, così come accadeva nell’arte antica, ma diventa un’espressione mentale. L’artista utilizza oggetti tratti dalla realtà per comporre la struttura della sua pittura e con un atto sovversivo, di natura strettamente concettuale, trasferisce gli oggetti dalla dimensione reale a quella ideale dell’arte”.
Che cosa rappresenta per Lei il cibo, nutrimento del corpo ma anche passione, nutrimento dell’anima, dalla forte componente emotiva ed evocativa come ci ricorda il celebre brano della madeleine di Proust?
“Il brano della madeleine di Proust analizza una esperienza quotidiana che si avvale di profondi significati reconditi. Il tempo si fonde tra la memoria del passato che viene percepita nel presente tramite un elemento puramente sensoriale, legato al gusto. Il tempo perduto, nell’accezione di tempo storico, viene recuperato nella contemporaneità attraverso un percorso emotivo che parte da una condizione oggettiva: l’assaggio della madeleine. Scriverà Proust che “ode il rumore degli spazi percorsi” facendo in modo che il passato possa rivivere nelle emozioni del presente. Il cibo – conclude Casamonti – ha questa facoltà di essere depositario di ricordi, tracce del tempo che riemergono intatte dalla storia. In questo senso vi è un’affinità con l’arte, in quanto il passato legato all’opera torna nel tempo attuale nel momento in cui scuote la nostra sensibilità, quel che rimane in entrambi i casi, è la magistrale possibilità che il tempo ha di negare se stesso”.
FIAMMA DOMESTI