Prefazione – 2023
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La macchina del tempo non sempre procede a ritroso verso giorni straordinari e memorabili. Il primo Dicembre 1928 appare infatti come un giorno ordinariamente feriale. Eppure, dietro il foglio stropicciato e polveroso di quel vecchio calendario, è possibile riscoprire un sorprendente quadro di luce, vita e colore.
La Saturnia, uno dei primi transatlantici a motore diesel, sta navigando verso le Americhe con il suo variegato carico di umanità. Di proprietà dell’armatore triestino Cosulich, ha fatto il suo viaggio inaugurale il 21 Settembre 1927, diretta verso i porti sudamericani del Plata. Dal 1 Febbraio 1928, punterà anche su New York.
Duecento metri di lunghezza, la Saturnia offre ai passeggeri ben 4 classi, per un totale di più di 2000 posti, con l’aggiunta di 500 membri di equipaggio. La nave è costruita per intercettare bisogni e sogni molto diversi: emigranti in cerca di fortuna verso le due Americhe; la ricca clientela dei crocieristi statunitensi diretta verso il Vecchio continente.
Attraverso tecniche funzionali e un design all’avanguardia, la nave fu la prima al mondo ad avere cabine di prima classe dotate di veranda esterna. Curatissimi ed a volte magnificenti anche l’accesso ai saloni, a partire dallo scalone monumentale interno, “… dal cui alto veglia la statua di bronzo della divinità, che ha dato il nome alla nave (…). Sale dall’atrio al ponte delle passeggiate e scende ai piani inferiori fino alla piscina, sontuosa riproduzione dei magnifici bagni pompeiani.”
Al classicismo si richiamava anche la decorazione del salone da pranzo, dove, nella lunga fascia marmorea alla base della cupola, si coglievano gli stessi motivi ornamentali del Partenone.
Ed è proprio in questo salone che conviene indugiare qualche momento di più. Il primo Dicembre 1928, su uno dei tavoli preparati per i passeggeri di I classe, si trovava il menù che siamo riusciti a far emergere dall’oblio. Tradotto anche in inglese, il menù era specifico per la colazione del giorno, quindi un unicum.
Nonostante l’amplissima scelta che la carta permetteva, molto interessante la nota a piè di pagina: “per ordinazioni speciali rivolgersi al Maitre d’hôte”.
Ampia e ricca l’offerta di antipasti, un equilibrio, anche linguistico (considerato il contesto storico del fascismo) tra prelibatezze italiane e concessioni alla platea internazionale: caviale alla Romanoff – filetti di aringa all’olio – maionese di salmone – fegato d’oca in gelatina – insalata di uova al paprica – rapanelli – mortadella di Bologna- carciofini all’olio – cipolline marinate.
Tra le “zuppe e ministre” spiccano, fra le altre, il consumato brunoise (con taglio delle verdure a dadolata regolare di circa 2mm. per lato), gli gnocchetti alla romana, i taglierini alla bolognese e la vellutina Valdeze.
Prima dei piatti del giorno, alcuni ghiotti intermezzi, tra cui le uova affogate argenteuil (particolare qualità di asparagi, dal fusto bianco e la punta verde-violacea) e le cocottine alla portoghese (uova bazzotte adagiate su letto di pomodori, verdure e ricotta). Anche il pesce veniva collocato in tale spazio gastronomico, come, ad esempio, i filetti di pompano alla nizzarda (infornati insieme a pomodoro e cipolle, fumetto di pesce, vino bianco e guarnizione di olive).
Per finire la parte “calda” della colazione arriviamo ai piatti centrali e forti del giorno: ossobuchi alla milanese, cosciotto di bue stufato alla fiamminga (spezzatino di manzo cotto molto lentamente nella birra belga insieme a cipolle ed aromi) ; pollo gratellato crapaudine (aperto in due e prima marinato tutta la notte in un mix di vino bianco, succo di limone, aglio, prezzemolo, piripiri, paprika, timo, alloro); ali di tacchino alla borgognona (con tritatura a base di cipolla, funghi e molti degli ingredienti sopra citati, con aggiunta di burro e pepe di più tipi); cervello di vitello alla ravigote (salsa con base un brodo di verdure o carne, con erbe e limone, spesso aggiunta di senape di Dijon).
Ricchissimo anche il “buffet freddo” . Oltre ad un ampio assortimento di salumi, italiani e non, prelibatezze particolari di selvaggina (raffreddo di pernice, pasticcio di lepre in crosta) ed i più classici pasticcio di piccione, terrina di fegato grasso Perigord e galantina di cappone.
Non mancano le insalate trasversali rispetto all’intera colazione, dalle più tradizionali a quella più “regale” dedicata ad Enrico IV (di orzo, con melone, provola e culattello croccante), né accompagnamenti più studiati come patate fondenti e sedani stufati.
Nell’ordine della colazione è la volta di dolci e gelati, tra cui spiccano i bocconcini all’inglese, l’involtino di mele ed il sorbetto di ribes. A seguire, “formaggi nazionali ed esteri”, frutta fresca di stagione e secca assortita.
E questa lunga gustosa sequenza non avrebbe potuto concludersi senza il caffè, che, con vocabolario internazionale, suona come “Demi tasse”, elegante specificazione atta ad evitare, ieri come oggi, brutte sorprese.
Un pensiero a quell’anonimo passeggero o passeggera di prima classe che, tra una portata e l’altra della colazione di quel primo Dicembre 1928, sul retro del menù che ci ha accompagnato, ha preso nota di un’intrigante salsa, che a distanza di quasi cento anni, sa ancora di rosmarino, timo, un cucchiaio di polvere di curry e 10 chicchi di pepe. Un po’ di Proust sulla vecchia Saturnia…