Prefazione – 2023
Prefazione Un magazine “contemporaneo” si nutre di dinamismo e vitalità, percepisce al volo gli input delle lettrici e dei lettori, si trasforma dando sempre il meglio. Insomma,...
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Ogni mattina, puntuale, pochi attimi prima dell’alba, che in quella regione profumava di mille boschi, Sumio, da tutti in paese conosciuto come “il giapponese”, prendeva un po’ di pane scuro e del formaggio dalla dispensa della locanda ed andava lassù in altura, risalendo per sentieri sempre diversi lo stesso torrente. E rimaneva in compagnia della montagna fino a quando i suoi variegati abitanti, per capriccio, gli oscuravano un po’ alla volta la via del ritorno.
Nel piccolo paese del lago, dove la guerra era ripartita dopo troppi inverni, portando via con sé la gioventù più bella ma non la speranza, l’arrivo del piccolo studioso giapponese aveva creato scandalo. Si vociferava che fosse una spia nemica, fuggita non si sa come e con carte falsificate dal Giappone sconfitto. E poi, perché battere palmo a palmo, studiando in gran segreto le terre tra il ruscello bianco e la croda della Regina? Si trattava, molto probabilmente, di un sabotatore.
La diffidenza verso il piccolo studioso giapponese durò molte settimane, anche se le regole dell’ospitalità, intangibili per tutti i valligiani, non vennero mai meno, a cominciare dal proprietario della Locanda del Gambero, che, giorno dopo giorno, apprezzava sempre di più l’educazione, la cortesia e “la signorilità”- sono le sue stesse parole – del piccolo ed unico ospite.
Tutte le sere, dopo cena, un esiguo manipolo di anziani del villaggio, quasi a trasformare la Locanda del Gambero in osteria, si raccoglieva davanti al caminetto, prima per giocare a carte, poi per bere, tra antichi canti e risate sempre meno rare, centellinando il rinomato distillato che tutta la regione invidiava all’ oste.
L’unico a rimanere in disparte era il piccolo giapponese, che prendeva appunti, disegnava e, per la particolare bontà dell’oste, sorseggiava a ripetizione del tè chiuso nella sua tristezza.
Una sera, finita la consueta partita a carte ed aperto un boccione di grappa più grande del solito, gli anziani si misero in cerchio quasi in raccoglimento. Dopo una prolungata pausa di silenzio, il più anziano iniziò a parlare con tono solenne catturando con mestiere l’attenzione di tutti gli altri.
L’oste si avvicinò a Sumio, che vide per la prima volta sorpreso ed incuriosito da quanto stava accadendo intorno a lui, e gli disse, a bassa voce ed estrema lentezza: “Questa è la sera delle storie e dei racconti della montagna. Parlano del gambero d’acqua dolce”.
Il piccolo giapponese aveva capito meno di quanto l’oste sperasse, ma alla parola gambero ebbe un sussulto, emise quasi un grido e si alzò in piedi ripetendo “sì, gambero d’acqua dolce!”.
L’anziano che stava parlando si bloccò, fissando a lungo l’ospite. Poi si sciolse in un sorriso, chiedendo: “Tu capisci gambero d’acqua dolce?”. Sumio, avvicinandosi al cerchio degli anziani, non seppe fare altro che ripetere con trasporto: “Sì, sì, sì”.
“Allora – proseguì l’anziano – siedi con noi ed ascolta con attenzione la storia di come il gambero d’acqua dolce ha cambiato la storia del nostro villaggio negli anni e nei secoli”.
Il narratore tornò molto indietro nel tempo per raccontare la bellezza del ruscello bianco, il più puro e trasparente di tutte le Alpi. Le sue acque permettevano in ogni momento di vedere perfettamente anche i più profondi tra i ciottoli adagiati sul suo fondo, iridescenti come l’arcobaleno, laddove si nascondevano, in tutta la loro bellezza, i gamberi con la preziosa armatura che cambiava secondo la stagione. Pescarli dopo il bagno era una festa. Una benedizione vederli moltiplicare indifferenti alle mire dei giovani pescatori del villaggio. Quelli erano i tempi della povertà, ma anche della pace tra gli uomini e la natura, con la Croda della Regina che proteggeva tutti, grandi e piccini, con la sua rassicurante sagoma.
Sumio, pur non riuscendo a capire le parole, era come rapito dal tono della voce, dalla gestualità dell’anziano narratore. Prigioniero della magia dei suoi silenzi, ne approfittava per disegnare con la fantasia i contorni di quella straordinaria storia di acque dolci e gamberi che prendeva forma davanti a lui in una già frizzante notte autunnale. “Ora quella stagione è finita – esclamò l’anziano cambiando tono ed umore. Da quella maledetta giornata in cui gli invasori si sono riforniti d’acqua al Ruscello Bianco, la corrente è diventata opaca e poi bruna. Ci hanno avvelenato la vita ed i gamberi d’acqua dolce se ne sono andati. Per noi la guerra non è ancora finita. Torneremo più, come una volta, a passare le nostre Domeniche sulle rive del Ruscello Bianco cantando al sole ed all’amore. “
Intanto le lacrime bagnavano gli occhi del piccolo giapponese, che, in cuor suo, aveva ben capito, tra le poche parole che conosceva davvero, il nesso tra guerra e gambero d’acqua dolce.
Allora si alzò in piedi, proprio mentre nella locanda stava entrando l’anziano parroco del villaggio che non poteva mancare alla consueta veglia delle storie e dei racconti, ed iniziò a parlare in giapponese antico, guardando negli occhi, uno ad uno, tutti gli interlocutori con un’intensità che valeva più di ogni traduzione. Utilizzando il suo inseparabile taccuino, pieno di appunti e soprattutto di disegni, Sumio, arrivò ad accarezzare l’immaginazione di quei vecchi cuori da bambino e toccò nel profondo l’anima di ognuno, inventando la storia più bella mai narrata sotto la Croda della Regina.
Le uniche parole che gli anziani, l’oste ed il parroco capirono furono: Giappone, guerra mondiale,
Hiroshima, sconfitta, gambero d’acqua dolce. Ora, grazie ai disegni, stupendi acquerelli in cui Sumio aveva rappresentato gamberi d’acqua dolce del suo Giappone, tutti avevano capito l’oggetto dei suoi misteriosi studi. L’ultima pagina del suo blocco da disegno si fermava al 1941, anno in cui il Giappone era entrato in guerra. Ora, osservando con stupore gli itinerari disegnati dal paese alla sorgente, con accanto le vecchie aree di insediamento dei gamberi, tutti ringraziarono il cielo per la venuta di un “nemico” che si era trasformato in amico.
Da alcune settimane il piccolo ricercatore giapponese rientrava a stento alla locanda, sempre più tardi, cenava ed andava subito a dormire. Alle veglie serali la sua presenza cominciava a mancare.
Ma nessuno degli anziani, neppure l’oste, osava disturbarlo.
Una sera, prima di coricarsi, Sumio lasciò un biglietto all’oste, facendo capire a gesti che doveva consegnarlo agli anziani.
“Domani, alba, bambini villaggio con me Croda Regina”. Questo diceva l’approssimativo, ma eloquente biglietto.
Il messaggio arrivò davvero a destinazione. Si discusse a lungo della richiesta, ma la decisione finale fu unanime.
Quando ancora il sole non era sorto completamente, i cinque bambini del villaggio si trovavano già dentro la locanda a far colazione con Sumio e l’oste, che, per l’occasione, aveva preparato qualcosa di speciale.
Poi partirono, cantando dietro alla voce del piccolo ricercatore un’allegra melodia giapponese.
Alla fine del pomeriggio, quando il sole di quella meravigliosa giornata aveva cominciato a stancarsi, i cinque bambini, a rotta di collo, arrivarono nella minuscola piazza del paese eccitati e festanti. Il primo, più piccolo di tutti, aveva tra le mani un cesto di vimini, che conservava come uno scrigno prezioso. In disparte, lo aprì davanti al più anziano del villaggio, che, tutto il giorno, aveva aspettato con impazienza il loro ritorno. Sollevato il coperchio, carezzò suo nipote e pianse di felicità.
Le campane del villaggio suonarono a lungo sino allo sfinimento dell’anziano parroco.
I gamberi d’acqua dolce erano tornati e la guerra davvero finita, grazie ad un piccolo ricercatore giapponese, un tempo forse nemico, mai uomo di guerra.
In paese non tornò mai più. Ma alla Prima Festa del Ritorno, lassù, dove La Croda della Regina partorisce il Ruscello Bianco, all’ Oste della Locanda del Gambero sembrava di averlo accanto, mentre cucinava per tutti la ricetta che Sumio gli aveva lasciato insieme al Gran Libro, proprio quella notte senza ritorno in cui nessun bambino del paese era riuscito a dormire.
La ricetta: perle di fiume
Ingredienti: una conchiglia quale simbolo di pellegrinaggio, un uovo quale metafora di rinascita e perfezione, e gamberi d’acqua dolce quale modello di sublime leggerezza. E poi: prezzemolo, limone, sale, pepe ed olio.
Rassodare un uovo per coppia di commensali. Intanto, in acqua bollente e salata scottare dei gamberetti d’acqua dolce sgusciati. Scolarli, lasciarli intiepidire e tagliarli a pezzetti. Marinarli in un recipiente con prezzemolo tritato, pepe, sale e succo di limone. Mescolare accuratamente. Usare una capesanta per ciascun ospite, adagiarvi in gamberetti tritati e mezzo uovo con il tuorlo rivolto verso il basso. Spolverizzare di sale, pepe e prezzemolo. Aggiungere alcune lacrime di olio di oliva.
FRANCO BANCHI